Senza titolo (Scultura con gocce rosse)
Leoncillo Leonardi
Descrizione dell'opera
L’opera documenta la stagione informale di Leoncillo, cui l’artista approda nel 1958 dopo una breve, sofferta fase in cui ha rimeditato le forme della natura, distaccandosi dal neocubismo che aveva ispirato le sue scelte negli anni del dopoguerra. Guidato da un rinnovato «sentimento del tempo», lo scultore torna a scavare nel proprio vissuto per ritrovare la germinale impronta della storia, ponendosi in ascolto dei «mille richiami a ciò che si è visto sentito pensato», come annota nelle pagine del Piccolo diario, tra le più dense della prosa d’artista del Novecento. Nel solco di un’antica tradizione artigiana – umbra e familiare –, Leoncillo riaffonda così le mani nella creta con «un atto sicuro, sicuro come gli atti elementari della vita… senza voler niente che essere in essa… segnare in essa l’amore e lo sdegno, l’angoscia e la speranza, come esse lo segnano ogni giorno nelle rughe della nostra carne». Alla stessa tipologia di scultura con gocce rosse appartengono altri tre esemplari, in collezioni private, che come questo trascrivono l’irregolare pulsare del tempo e della memoria in lampi di un febbricitante sentire. Sono opere che attestano la piena conversione dell’artista a sé stesso, in una coraggiosa ricerca nel profondo che lascia emergere, come lui stesso dirà, ciò che di «non naturale» gli urge dentro. (Stefania Petrillo)
L'artista
Leoncillo Leonardi
(Spoleto 1915 - Roma 1968)
Si cimenta sin da ragazzo con la creta. Nel 1931 s’iscrive all’Istituto d’arte di Perugia e poi all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove nel 1936 frequenta la galleria La Cometa, entrando in contatto con gli esponenti della Scuola romana e il mondo dell’arte della capitale. Per perfezionare la conoscenza tecnica dei materiali ceramici, nel 1939 si trasferisce a Umbertide, dove crea sculture in terracotta policroma invetriata, per le quali Longhi conia la definizione di «barocchetto decadentistico». Nel 1940 si aggiudica la medaglia d’oro per le arti applicate alla Triennale di Milano.
Leggi tuttoNel 1942 torna a Roma come docente di plastica ceramica all’Istituto statale d’arte. Convinto antifascista, partecipa attivamente alla Resistenza militando in varie organizzazioni partigiane e s’iscrive al Partito comunista italiano, aprendo il filone sociale della sua cultura. Con le due versioni della Madre romana uccisa dai tedeschi vince nel 1944 il primo premio alla mostra L’arte contro la barbarie. Collabora come ritrattista e disegnatore satirico ai periodici «Mercurio» e «La Settimana» e nel 1946 firma il manifesto della Nuova secessione artistica italiana, aderisce al Fronte nuovo delle arti e partecipa alla Triennale di Milano, dove merita un diploma d’onore. Nel 1948 partecipa alla Biennale di Venezia e l’anno successivo tiene a Firenze la prima personale. In questi anni lavora a Villa Massimo, dove si è formata una comune di artisti – inizialmente Mazzacurati, Guttuso e Greco – creando opere con declinazione neocubista. Torna alla Biennale con una sala personale nel 1952 e in una sala con Fontana nel 1954, anno in cui esce la sua prima monografia curata da Longhi. Nel 1955 vince il concorso per il Monumento ai caduti di Albissola Marina. L’anno dopo, a seguito dell’invasione sovietica dell’Ungheria, lascia il Partito comunista; entra allora in una crisi profonda che lo coinvolge come uomo e come artista, il cui approdo espressivo è il suo informale. Nel 1957 realizza nei giardini della Biennale il Monumento alla partigiana veneta, distrutto da una bomba fascista quattro anni più tardi. Espone ancora alla Biennale del 1960, con una personale, e in diverse mostre internazionali: a New York, Parigi, Tokyo, Edimburgo, Liverpool, Manchester, Oslo, Amburgo, Colonia. Nel 1967 realizza la sua opera più monumentale per il padiglione italiano all’Esposizione universale di Montréal; l’anno successivo, poco prima della scomparsa, tiene alla Biennale di Venezia l’ultima mostra personale.

© Credits: Massimo Listri